Per la difesa dell’avifauna nel Delta Padano e nell’Estuario Veneto

PAOLO BOLDREGHINI & GIANLUIGI MAZZUFFERI (*) 

PER LA DIFESA DELL’AVIFAUNA NEL DELTA PADANO E NELL’ESTUARIO VENETO (**) 

Riassunto. – Gli Autori prendono in esame gli ambienti lagunari, vallivi e palustri del Delta Padano e dell’Estuario Veneto e rapidamente ne delineano le principali costituenti dell’Avifauna, con cenni sugli aspetti geomorfologici, fisico-chimici, vegetazionali, quando questi siano correlati con la biologia degli Uccelli. Quindi presentano alcuni problemi e proposte volte alla difesa del paesaggio e dell’habitat naturale di queste zone umide e degli Uccelli acquatici in particolare. 

Summary. – The Authors examine the lagoons, “valli” and marshes of Delta Padano and Estuario Veneto and they swiftly delineate the chief constituents of their characteristic  Avifauna, with hints at the geomorphological, physico-chemical, vegetational aspects, when these are related to Bird biology. Then they introduce some problems and proposals for the conservation of the landscape and the natural habitat in these wetlands and of aquatic Birds particularly. 

(*) Laureandi in Sc. biologiche e naturali all’Università di Bologna. Membri del Comitato per la Conservazione degli Ecosistemi e dei Biotopi naturali – Gruppo di studio per le Valli del Delta Padano. 

(**) Relazione già letta al convegno sul tema: (L’Avicoltura ornamentale, tecniche di allevamento, sua utilità per il miglioramento e la produzione di nuovi ceppi, proficuo impiego del tempo libero. Difesa e conservazione delle specie avicole dell’Avifauna e del loro naturale ambiente di vita >, organizzato dalla 47° Fiera Internazionale di Padova, 11 giugno 1969, nel l’ambito della Giornata dell’Avicoltura ornamentale, dell’Avifauna e dell’Ornitologia. All’Ente Fiera di Padova, anche per aver autorizzato la presente pubblicazione, va il nostro sentito ringraziamento. 

Pure vogliano esprimere la nostra viva gratitudine a tutti quelli che ci hanno offerto la loro preziosa opera di consulenza: il prof. Augusto Toschi e il dr. Lamberto Leporati del Laboratorio di Zoologia applicata alla Caccia presso l’Università di Bologna, il dr. Francesco Corbetta e il dr. Paolo Pupillo dell’Istituto ed Orto Botanico dell’Università di Bologna, il dr. Leonardo Senni, il dr. Giancarlo Plazzi, Federico Montanari del Comitato per la Conservazione degli Ecosistemi e dei Biotopi naturali presso l’Istituto ed Orto Botanico dell’Università di Bologna.

Il termine Delta Padano è stato usato dagli AA. con varia definizione geografica e crediamo quindi opportuno precisarlo. Noi concordiamo nel « dare alla espressione un significato geo morfologico, nel senso di attribuire al Delta le costruzioni edificate dal Po in seguito a mutato regime nei tempi protostorici e storici »… (ascrivendo al Delta Padano l’insieme dell’area alluvionale che si affaccia all’Adriatico esternamente all’antichissima linea di costa segnata dal fascio di cordoni sabbiosi che in dolcissima curva rientrante si stende da Ravenna a Chioggia ». (GORTANI, 1961).

Estuario Veneto è invece il sistema di lagune creato dai depositi alluvionali dei fiumi veneti e compreso tra le Foci dell’Adige e del Tagliamento (LEPORATI, 1951).

Il dilungarci sull’argomento interessantissimo della dinamica delle deposizioni fluviali per effetto del libero gioco delle forze naturali ci porterebbe fuori tema. Ci basti qui ricordare che cause concomitanti e sovrapponentesi, concordi ovvero antitetiche, quali l’erosione, le piene fluviali, le maree, le correnti marine, i venti, la costipazione dei sedimenti, l’eustatismo, la vegetazione contribuiscono tutte a dare alle aree neoformate caratteri molto labili e di continua evoluzione, creando un paesaggio quanto mai vario anche in zone di limitata estensione e permettendo di conseguenza l’insediarsi e il diffondersi di una flora e una fauna altrettanto varie.

La risultante di queste componenti è la costruzione, parallelamente alla linea di costa, di tomboli, dune, lidi che racchiudono specchi d’acqua salsa più o meno isolati dal mare aperto, nei quali la concentrazione salina varia nello spazio e nel tempo per l’interazione dei molteplici fattori sopra citati. Talvolta i fiumi, specie se a carattere torrentizio, trovando il cammino sbarrato dalle formazioni alluvionali, non sfociano direttamente in mare na invadono i territori circostanti, dando origine a quei complessi di paludi, stagni, acquitrini che, se artificialmente voluti con intenti di colmamento, vanno sotto il nome di «casse di colmata».

Chiunque abbia percorso la Via Romea avrà visto lo spettacolo delle Garzette che immobili, statuarie, disegnano la loro snella sagoma sull’orizzonte oppure sarà stato attratto dalla presenza di numerosi Mignattini che instancabilmente con i loro voli riempivano di vita il paesaggio circostante. Tutti coloro che, presi anche dalla semplice curiosità di vedere qualcosa di più, si addentrano nelle «valli», inevitabilmente polarizzano la loro attenzione su tutta la caratteristica avifauna qui presente. 

Infatti fra gli Uccelli interi ordini si sono evoluti con multiformi adattamenti all’ambiente acquatico sfruttando in maniera mirabile le risorse offerte dalle acque e dalla vegetazione.

I piccoli Trampolieri di ripa, Caradriidi, Scolopacidi e Recurvirostridi, e i Laridi, Gabbiani e Rondini di mare, scelgono per la costruzione dei nidi i dossi costantemente emersi, mentre le barene soggette all’alternanza delle maree offrono le migliori possibilità di alimentazione.

I Palmipedi tendono a spostarsi nelle acque più aperte e più salate quanto più diminuisce la temperatura, ma pasturano nelle valli poco profonde, perché solo qui possono raccogliere con relativa facilità la vegetazione del fondo. Vengono raccolte le Fanerogame, Ruppia, Zostera, con tutta la loro fauna epifitica, non le Alghe, tanto meno, tra queste, le Caracee. 

I canneti e giuncheti che crescono rigogliosi ai margini delle paludi offrono asilo ai Rallidi, a molti Anatidi e persino alle superstiti coppie di Falco di palude, che vi nascondono i loro nidi. 

Su alcuni dossi più ampi si sviluppa vegetazione arborea, rappresentata da Olmi, Frassini, Ornielli, Salici, Pioppi bianchi e, in alcuni casi, Farnie e Lecci, e questa viene sfruttata dalle colonie nidificanti di alcuni Ardeidi.

Ci sembra ora opportuno passare in rapida rassegna gli ambienti da noi presi in considerazione ed esaminare quali risorse offrono alla ornitofauna che vi alberga e da quali pericoli siano più direttamente minacciati. 

Il grande complesso lagunare dell’Estuario Veneto, esteso fino al 1950 per una superficie di circa 70.000 ha. ed ora ridotto per le recenti opere di «bonifica» e colmamento, offre gli habitat più idonei a molteplici specie. 

La Laguna di Caorle, a differenza della Laguna di Venezia, e similmente alle Lagune più orientali di Marano e Grado, riceve un cospicuo apporto di acque dolci e quindi la salinità, sebbene altamente variabile, è in media molto più bassa di quella del mare e permette localmente la formazione di ambienti tipicamente palustri. Non così nella Laguna di Venezia dove gli antichi insediamenti umani hanno indotto a distogliere i corsi d’acqua e ciò per evitare sia il progressivo interramento, sia lo sviluppo delle Zanzare, quale sarebbe avvenuto in acque dolci o a bassa salinità. 

La laguna viva, cioè quella parte priva di dossi e barene e in diretta comunicazione con il mare attraverso i vari porti, risente fortemente del susseguirsi delle maree e quindi non offre alla maggior parte degli Uccelli possibilità di alimentazione e di rifugio. E’ frequentata da Gabbiani, Strolaghe, Syassi, Marangoni e altre specie che si nutrono in prevalenza di pesci.

Nella laguna morta le maree sono molto meno sentite per la presenza di barene, dossi e arginature, Il livello dell’acqua non subisce grandi escursioni e ciò viene a favore degli Anatidi che, su fondali di 30-50 cm, possono procurarsi con facilità il cibo. I piccoli Trampolieri accorrono in gran numero sulle barene quando emergono completamente o in parte, durante la bassa marea, perché qui trovano con abbondanza i piccoli Invertebrati di cui si cibano.

Bisogna ricordare purtroppo che in seguito al prosciugamento di ben 85.000 ha. di risaie e prati barenicoli, già esistenti intorno alla laguna, sono venute a mancare ottime zone di pastura ed anche di riproduzione per moltissimi Palmipedi e Trampolieri. La situazione si è ulteriormente aggravata in questi ultimi anni durante i quali, per costruire ed ampliare la zona industriale di Marghera, sono stati completamente interrate parecchie migliaia di ettari di barena.

Tra i Trampolieri più diffusi ricordiamo i Chiurli, le Pittime, i Piovanelli, i Piro-piro, il Beccaccino e la Garzetta bianca, ma osserviamo con rammarico che l’estrazione di grandi quantità di acqua dalle falde sottostanti ha aggravato la naturale subsidenza, provocando un più rapido abbassamento di tutto il suolo, con la conseguenza che larga parte delle restanti barene rimane costantemente sommersa, pregiudicando le possibilità di alimentazione dei piccoli Trampolieri e quindi la loro presenza. 

Le numerose valli da pesca, risalenti ad antichissima data, ma ora riorganizzate in base a criteri più moderni, costituiscono per la tranquillità delle loro acque, per la presenza di abbondante pastura e localmente per la minore salinità, una forte attrattiva per la sosta di Germani, Fischioni, Codoni, Alzavole, Marzaiole, Mestoloni, Moriglioni, Canapiglie e Folaghe e, ove esiste una sufficiente estensione di barene, anche per i Trampolieri sopra citati.

Nelle ristrette aree in cui gli sbocchi d’acqua dolce danno luogo alla tipica vegetazione palustre, si raccolgono in primavera Folaghe, Germani, Alzavole, Marzaiole e scarse Canapiglie e alcune coppie si trattengono per la nidificazione.

Le Valli del Delta Padano più recente, estese per circa 5/6.000 ha. in Provincia di Rovigo, e le Sacche degli Scardovari e di Bottonera, offrono habitat ideale per i Palmipedi e Trampolieri tutti: hanno subito notevoli diminuzioni e sono tuttora minacciate dalle opere di «bonifica», sebbene attivamente utilizzate per l’industria della pesca.

Nel Ferrarese, dell’antica, immensa distesa valliva, restano solo la Sacca di Goro, gli Stagni di Canneviè, residui della Valle Giralda, le Valli Cantone, Bertuzzi e Nova e le Valli Fossa di Porto, di Lido Magnavacca, Campo e Fattibello, cioè quel po’ che rimane delle già estesissime Valli di Comacchio.

Nei pressi della Foce del Reno, le interessanti Vene di Bellocchio sono formazioni palustri originatesi tra le dune costiere con cospicui apporti d’acqua dolce. Suggestivi biotopi d’acqua dolce sono poi le Valli Campotto e Santa nei pressi di Argenta e le Valli Mandriole e di Punte Alberete, facenti parte della vecchia Cassa di colmata del Fiume Lamone nel Ravennate; verso il mare, comprese tra la famosa Pineta di S. Vitale e le dune costiere, si estendono le cosiddette Pialasse, bacini di acqua salmastra che oggi soffrono per gravi inquinamenti.

L’insieme degli ambienti ora elencati, quantunque oggi ridotto e frammentato dalle opere di prosciugamento e trasformazione fondiaria, costituisce tuttora, uno dei più importanti complessi vallivi d’Italia e d’Europa. A tal proposito ricordiamo che tutti i comprensori finora citati sono inclusi nell’elenco delle lagune e stagni costieri meritevoli di conservazione, redatto da una apposita Commissione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nonché dall’ormai ben noto Project MAR per la salvaguardia delle zone umide dell’Europa e del Nord Africa.

Leggendo opere naturalistiche dei secoli scorsi troviamo alcune notizie interessanti e in certo senso sorprendenti: così apprendiamo che fino a tutto il XVIII secolo questa regione era sede di nidificazione delle Spatole e delle Oche selvatiche, specie che ora, così come altre altamente ornamentali, la Gru, le Cicogne bianca e nera, l’Airone bianco maggiore, il Cigno selvatico ed an che il reale, sono solo occasionalmente di passo.

Questo oggi non si verifica più, ma non è assurdo pensare che torni a verificarsi. Proprio alcuni recenti casi di colonizzazione di specie nuove o da lunghissimo tempo assenti, così come l’incremento numerico delle coppie nidificanti osservato per molte altre specie in quest’ultimo decennio, testimoniano che le valli superstiti costituiscono tuttora habitat ideali. Questi fatti confortano le nostre speranze e ci stimolano ancor di più ad affermare la inderogabile necessità di tutelare e conservare attivamente quanto oggi resta.

Proprio le Valli di Comacchio, formatesi in corrispondenza di un antico delta del Po, in parte da valli dolci preesistenti, con le loro acque basse e tranquille sono i luoghi scelti per la nidificazione da un vasto gruppo di acquatici. Le barene e gli isolotti ospitano colonie più o meno numerose di Pettegole, Cavalieri d’Italia, Avocette, Fraticelli, Rondini di mare, Rondini di mare zampe nere, Gabbiani reali e Gabbiani comuni, per alcuni dei quali si sta registrando un lento, ma innegabile, incremento. Sui dossi e rive circostanti le valli nidificano prevalentemente gli Anatidi, tra cui ricordiamo Germano reale, Alzavola, Marzaiola, e persino Moretta tabaccata e Moriglione. Diffusissimi sono i Fratini. In questi ultimi anni, sembra dal 1966, una nuova bellissima specie, la Volpoca, è stata presente con alcune coppie nidificanti e questo è di grande interesse se si pensa che ciò non si era mai verificato a memoria d’uomo e che l’area di riproduzione, limitata in Italia alle coste sarde, si stava preoccupantemente contraendo per sino a quell’ isola. Nelle praterie della « bonifica » del Mezzano, adiacenti alle acque, le Pernici di mare hanno stabilito uno dei loro luoghi di nidificazione più settentrionali, unico sul versante adriatico.

Le valli d’acqua dolce sono invece le aree preferite dagli Ardeidi. Troviamo l’Airone cenerino, la Nitticora e la Garzetta in Valle Campotto, le Garzette sembra che nidifichino anche sui Lecci del Bosco della Mesola, adiacente alla Valle della Falce, na la garzaia più importante, forse la più importante d’Italia e di interesse internazionale, è quella di Punte Alberete dove tra le numerosissime Garzette e le Nitticore troviamo Aironi rossi, Aironi cenerini e un cospicuo numero di coppie di Sgarza ciuffetto. Ancora nelle valli dolci troviamo nidificanti gli Svassi, lo Svasso maggiore in Val Campotto e il Tuffetto nella Cassa del Lamone, oltre che, nel fitto dei canneti, tutta la famiglia dei Rallidi, Porciglione, Voltolino, Schiribilla, Schiribilla grigiata, Gallinella d’acqua, Folaga, che hanno subìto una grave diminuzione per la contrazione del loro habitat.

Le Valli Bertuzzi, ora soggette a scarso ricambio idrico con conseguente anossia e periodiche morie di pesci, per il bassissimo fondale e la presenza di numerosi dossi, ospitano una avifauna simile a quella di Comacchio, anche se con minor numero di specie, talora peraltro con cospicue popolazioni, come avviene per il Cavaliere d’ Italia.

Queste stesse valli nella stagione fredda divengono il luogo di sosta e di svernamento di branchi numerosi, talvolta di migliaia di capi, di Folaghe, Fischioni, Germani, Morette, Alzavole, Codoni e Mestoloni, oggetto di una caccia spesso gravemente distruttiva.

Anche in questa rapida e sommaria panoramica, dobbiamo constatare un grave indice di squilibrio biologico, la quasi totale assenza di Rapaci, elemento principe della dinamica dell’ecosistema, ancor oggi in Italia oggetto della cieca lotta ai cosiddetti « nocivi ». Non ci è dato osservarli che saltuariamente. Forse solo rare coppie di Falco di palude nidificano ancora nella Cassa del Lamone e nella Riserva Orsi-Mangelli a Primaro, dove pure si è riusciti a mantenere l’unica piccola colonia di Tarabusi nidificanti.

Abbiamo visto, seppure in maniera molto rapida e frammentaria, come la conservazione di tutte le specie considerate dipenda strettamente dalla salvaguardia dei loro habitat naturali. 

Partendo dalla considerazione che non è assolutamente possibile la ricostruzione ex novo di ambienti così complessi, con delicati equilibri frutto dell’interazione di molteplici, variabili fattori, giungiamo alla logica conclusione che la integrale difesa di questi biotopi si impone subito, con gravità, alla nostra coscienza.

Tutti gli interventi, che in qualsiasi modo possono alterare i complicati e poco noti equilibri idrologici, debbono essere in anticipo attentamente esaminati da commissioni di geologi, naturalisti, biologi, tecnici idraulici e non solo dettati da considerazioni di natura politica. Le grandiose opere di prosciugamento e successiva trasformazione fondiaria, che potevano trovare in altri tempi una loro giustificazione in motivi di ordine sociale e sanitario, oggi, constatatane l’antieconomicità e scomparsa la malaria, rivestono solo il carattere di provvedimenti demagogici e debbono pertanto cessare.

Noi auspichiamo inoltre che queste coste vengano tutelate da una legislazione moderna e severa che eviti speculazioni di ogni genere impedendo massicci e disordinati insediamenti turistico-urbanistici, che a lungo andare, sia per motivi umani che per cause naturali, perdono quel valore e quel significato che avevano originariamente.

L’inquinamento, con tutte le sue più svariate forme, non sembra aver raggiunto qui le proporzioni preoccupanti altrove segnalate. Questo dato, che ci appare osservando soprattutto le popolazioni di Uccelli, non è da ritenere molto attendibile, in quanto, salvo i casi in cui il fenomeno si presenta in maniera acuta, gli effetti sono direttamente rilevabili solo a livello degli organismi inferiori, cioè di quelli che costituiscono i primi anelli della catena alimentare. Infatti la scomparsa di certe specie, oppure anche la diffusa presenza di popolazioni monotipiche, sono indizi chiarissimi che qualcosa non procede come naturalmente stabilito. E’ questo un problema che se non è ancora esploso, purtroppo non tarderà molto a farlo; quando si trattano certi sistemi, spesso tralasciamo di considerare quella che è l’inerzia propria del sistema stesso. Clamorosi esempi si rinvengono ogni giorno anche sulle pagine dei nostri giornali, come i casi di risalita in superficie di acque inquinate (e poi dimenticate) parecchi anni prima o di progressivo accumulo di sostanze nocive in bacini con scarso ricambio idrico, di cui ci si è accorti solo quando il fenomeno aveva assunto proporzioni irreversibili.

E non parliamo poi del danno arrecato dalle polluzioni oleose alle popolazioni ornitiche non solo limitando le possibilità di alimentazione, ma anche per tutti quegli individui che il contatto con le macchie di petrolio rende inabili al volo, pregiudicandone la sopravvivenza.

Nell’intento di proteggere subito e direttamente tutta l’avifauna risulta particolarmente opportuna l’istituzione di una rete organica di casi di protezione che, ricordiamo, sono una lodevole istituzione prevista dall’art. 67 bis della Legge stralcio sulla Caccia. L’estensione di questi territori non dovrebbe, in linea di massima, essere mai inferiore ai 1.000 ha. e ben delimitata dalla presenza di confini naturali. I Comitati della Caccia delle province interessate potrebbero organizzare, con la consulenza e la collaborazione del Laboratorio di Zoologia applicata alla Caccia, un incontro nel quale accordarsi su un programma ben definito e preciso, che risponda alle esigenze di tutta la comunità, superando, con molta buona volontà, gli inevitabili contrasti che sorgono per gli interessi limitati di persone o piccoli gruppi. Si potrebbe così in un breve lasso di tempo (e qui notiamo con soddisfazione l’agilità di procedura che il legislatore stesso ha voluto dare alla costituzione delle oasi) vedere realizzata un’opera che oggi è ormai diventata di necessità impellente.

Non è detto poi che all’interno di queste oasi non si riesca a far funzionare, con costi relativamente bassi e risultati invece considerevoli, qualche stazione per l’inanellamento e in generale per lo studio del comportamento e delle condizioni ecologiche della ornitofauna più caratteristica e interessante.

L’istituzione poi, in tutto il terreno libero del comprensorio considerato, di un regime di caccia controllata, porterebbe certamente vantaggi sensibili. E’ assolutamente necessario che non venga permessa la caccia a tutte quelle specie che, per lo scarso numero di presenze, per i recenti tentativi di insediamento, per il grande valore scientifico ed estetico, rivestono un grande inte l’esse dal punto di vista naturalistico, scarso peraltro da quello venatorio. La caccia alle specie consentite potrebbe essere intercetta due o tre giorni la settimana col positivo risultato di favorire la sosta di quei migratori costretti ora a cercare altrove luoghi più tranquilli. Anche una limitazione del numero dei capi alleggerirebbe il prelievo che si effettua sulla massa dei selvatici, facilitando contemporaneamente una distribuzione più equa della selvaggina tra i cacciatori.

La chiusura generale di ogni forma di caccia alla fine di febbraio è il presupposto necessario perchè un certo numero di migratori, durante la risalita primaverile, abbia la possibilità di fermarsi in queste valli e stabilire anche qui i suoi territori di nidificazione, dando così origine a popolazioni locali, già abbondanti in un passato non lontano.

Ovviamente questi provvedimenti perderebbero molto del loro significato se si realizzassero ulteriori manomissioni di questi biotopi che, oltre a conservare le caratteristiche naturali intrinseche, debbono essere sufficientemente ampi e tranquilli. Molti studiosi, con grande competenza e autorità, hanno parlato in tal senso, ma purtroppo le loro voci non sono state ascoltate o sono state sottovalutate e trascurate con intenti, diciamolo pure, vera mente dolosi.

Noi ci rendiamo conto che l’Uomo è un essere naturale e come tale inserito nella Natura. Solo se sapremo ascoltare con umiltà e attenzione la voce di tutto ciò che ci circonda, potremo conservare questo insostituibile patrimonio e trasmetterlo integro alle generazioni future.

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