DAL MOVIMENTO NATURALISTA ALL’ESPERIENZA VERDE

Fare qualche un ritratto a memoria, può comportare errore. Se errori però ne fanno anche gli storici, chiedo’ benevolenza conscio del pericolo che quanto mi accingo ad esporre 

sia così poco decantato dall’opera chiarificatrice del tempo, che 

rischia una certa quota di indeterminatezza. 

L’iter politico dei verdi in Italia ha certamente origini 

lontane. Non c’è bisogno di rifarsi alle origini storiche del 

movimento, agli esigui nuclei degli anni cinquanta, ai natu- 

ralisti per formazione o per vocazione, più o meno tutti disce- 

poli o amici di quella grande mente e di quello spirito indomito 

che fu Alessandro Ghigi. Quello che oggi sarebbe univocamente 

definito come “il movimento” si delinea nella forma organizzativa 

e nei metodi di intervento alla fine degli 

degli anni sessanta, 

soprattutto grazie ad alcune iniziative, ad alcune mostre, ad 

alcune campagne, con mobilitazioni per la prima volta estese nel 

numero e nel territorio come avvenuto per le caccie primaverili o 

contro l’uccellagione. Queste iniziative mutano radicalmente il 

carattere del 

del movimento: da prima certamente elitario O per 

iniziati, nei fatti manifesta 

fatti manifesta poi un carattere inaspettato di 

“diffusione”. Un momento con forti analogie con questo, credo che 

possa essere riscontrato oltre dieci anni più tardi, dall’83 

all’85, nel coagulo dell’organizzazione e della forza elettorale 

sotto la comune denominazione delle Liste Verdi. 

E’ utile ricordare che nei fatti, almeno fino al 1969 

l’attività dei gruppi naturalistici era animata da una esigua ed 

onnipresente pattuglia di “professionisti”. 

Dicendo “professionisti” intendo confermare se non proprio un titolo accademico, 

(certamente non indispensabile), almeno la frequentazione degli 

ambienti universitari, quella delle antiche associazioni natura- 

listiche, magari come la Pro Montibus et Silvis che operava già 

da molti decenni nella realtà dell’Appennino Emiliano- Romagnolo. 

Proprio in questi mesi si stanno festeggiando gli anni- 

versari dei venti anni di molti sodalizi e di molte associazioni. 

come Talune sorsero, è vero, con altri fini, magari con strane “accon- 

ciature statutarie”, ma viene da constatare che nel breve volgere 

di qualche stagione tutte si ritrovarono sul fronte, allora ante- 

signano, di un forte attivismo ecologista, quello che ha 

caratterizzato fortemente per tanti “aspetti verdi”, tre lustri 

della vita sociale del nostro paese. Un pò come avviene in fisica 

con il principio di Heisemberg chi, come il sottoscritto, ha 

partecipato in prima persona e vissuto sulla sua pelle certi 

avvenimenti, rischia di non fornire una versione asettica. Ho 

però il vantaggio di avere operato nel settore dell”ecologismo 

da almeno venti anni ed essere quindi stato testimone diretto di 

tanti sogni, speranze, battaglie, di qualche effimero successo, 

di un capitale d’iniziative ricco e multiforme in un settore nel 

quale nessuno avrebbe scommesso nemmeno poche lire! 

Va ricordato, ancora per esperienze vissute, che fino 

all’80 si è di fatto operato nel solo, unico, esclusivo ed 

appagante fronte della lotta ecologista, condotta nella maniera 

più classica, senza alcun coinvolgimento partitico, anzi con 

l’accurata attenzione ad evitarne, a sfuggirne ogni pur minima 

possibilità. In questo periodo si riscontrano parallelamente due 

fenomeni, che pochissimi diagnosticano sul momento, ma dei quali 

oggi la conferma è inoppugnabile. Il primo è quello della nascita 

di gruppi o di associazioni ecologiste di osservanza partitica, 

legate ad aree politiche ben determinate, finalizzate alla 

gestione di tutta la problematica ambientale che diviene di 

giorno in giorno sempre più esplosiva. L’altro, il secondo, va 

identificato con quei settori operanti in seno alle forze 

naturalistiche ed ecologiste più classiche che stanno decidendo 

“di sporcarsi le mani” per vedere di modificare con un impegno 

diretto, ciò che l’impegno istituzionale degli anni ’70 spregia- 

tivamente detto “fanfaecologia”, aveva promesso e mai realizzato. 

Ad una analisi più dettagliata fatta quest’oggi possiamo 

certamente constatare quanto segue: le associazioni ed i gruppi 

ecologici strettamente di partito non hanno una grande fortuna. I 

partiti vivono da molti anni in Italia una gravissima crisi; del 

tutto improbabile è quindi la nascita di un embrione da un corpo 

vecchio, per certi versi agonizzante, vivente più per inerzia che 

per intrinseca energia. Quanto all’altra parte del fenomeno, cioè 

alle associazioni che amo definire di “area politica”, saggiamen- 

te e concretamente incentivate al centro ed alla periferia da 

segreterie benevolenti e da assessori compiacenti, possiamo 

vederle piantare buone radici perché possano contare su strutture 

organiche e su personale non solo volontario. Queste Kanno, 

allora ed ancora oggi, 

quella crescita che nei fatti ha 

consentito, una loro diffusa e consistente presenza. 

Restano, ultimi da prendere in esame, gli ecologisti di 

più lontana origine, quelli che potremmo definire “DOC”. 

All’interno di questo limitato, ma variegato universo, il 

dibattito è sempre ricco e complesso, non privo di tensioni ed 

anche di aspre controversie, per cui resta difficile sunteggiarne 

la storia che, per praticità, individuerò in due filoni 

principali: il primo quello dei sostenitori del cosiddetto “verde 

trasversale” e l’altro, propenso ad un impegno con specificità di 

lista, quello che si coagulerà nel maggio 1985 per le elezioni 

amministrative sotto il simbolo del sole ridente. 

In quell’epoca, ed anche nei mesi successivi, la dirigen- 

za delle principali associazioni precisa con chiarezza che ogni 

impegno politico di esponenti di rilievo o o anche di semplici 

soci, debba sempre intendersi a titolo strettamente personale. La 

situazione è da considerarsi completamente rovesciata nel marzo 

1987, quando almeno in alcune di queste associazioni, a seguito 

delle iniziative del coordinamento nazionale delle Liste Verdi, 

si delineano posizioni di netto impegno per la presenza 

elettorale, anche con il coinvolgimento di alcuni dei maggiori 

esponenti nazionali delle associazioni stesse, sotto le concomi- 

tanti pressioni esercitate dall’occasione elettorale offerta 

dalle elezioni anticipate, nonché sull’onda dei successi verifi- 

catisi ad esempio in Germania. 

Per comprendere l’intera evoluzione del fenomeno dei 

Verdi in Italia questa ricostruzione sommaria e lacunosa del 

fenomeno naturalistico-ecologista dovrebbe essere spinta ben più 

a fondo, soprattutto nei momenti intensi della costituzione dei 

tronconi: il primo quello nuclei di aggregazione pre-elettorali (fine 1984), dalla pre- 

sentazione ed dal relativo successo alle elezioni amministrative 

del 12 maggio 1985; dell’impegno degli eletti nei Comuni, nelle 

Provincie e nelle Regioni. A questo punto va collocato il fenome- 

no di divergenza, in parte fisiologico, che comporta una 

dicotomia delineatasi su due 

realista, – nettamente maggioritario e vincente, – l’altro quello 

definibile come “utopista”, legato ad idee e motivazioni 

originarie, in netto contrasto con gli schemi della politica 

partitocratica, al momento confinato in spazi angusti e più che altro teorici. Con un paragone biologico si potrebbe dire che, così come accade per l’embrione dal momento delle sue prime fasi 

di sviluppo anche per il movimento verde l’invecchiamento si è 

messo in moto dalle nascita. 

Dominante in tutto, la prima componente, giuoca sulla 

immagine venutasi a creare nell’opinione pubblica. E’ la parte 

oggi più appariscente, con riscontri e con una certa credibilità 

politica, realista ed allo stesso tempo sufficientemente innova- 

trice per aspirare a ritagliare uno spazio 

nel panorama sempre più variegato, ma anche sempre più sclerotiz- 

zato, della politica nazionale. Si cerca l’immagine con lo stesso 

gusto di chi lancia iniziative pubblicitarie su grande scala, 

disdegnando purtroppo le tematiche locali o quelle transna- 

zionali; si accetta il lavoro a tempo pieno collegato alla nec- 

cessità di uno stipendio (da conservare!); ci si accapiglia 

ricorrendo ai codici o ai colpi di mano per qualche decina di 

milioni di rimborso elettorale; si mitizza l’assemblea per 

discutere indirizzi politici e liste e poi, disinvoltamente, si 

tratta nella penombra dei corridoi! Tutto predisposto o quasi, 

dalla linea politica alla ripartizione degli stipendi dei futuri 

onorevoli, dai rimborsi dei viaggi ai recuperi sulle tasse, 

pensando ingenuamente di essere più lungimiranti ed avveduti di 

quei partiti politici dalle cui fila si è transfughi o 

dissidenti.

In questo panorama confuso e per molti versi poco innova- 

tivo è, a mio avviso, grande e sostanziale la disattenzione per i 

problemi concreti, per l’ecologia quotidiana, per quanto in 

ogni occasione avrebbe dovuto differenziarsi dai partiti. 

Un campanello d’allarme che sembra pochissimi abbiano 

avvertito, è quello relativo ai temi discussi nelle assemblee dei 

Verdi. Il fenomeno è evidenziato da alcune lodevoli eccezioni; 

c’è chi si interessa di agricoltura; chi insiste sul problema dei 

rifiuti, chi si ostina ad approfondire i temi energetici, ma sono 

poche le occasioni di incontro, poche le persone, pochissimi 

soprattutto i volti nuovi. Gente nuova, invece accorre laddove si 

discute su come organizzarsi, su come fare la campagna elettora- 

le, su come comporre le liste, sulle metodiche per smascherare i 

supporti infiltrati (radicali o supposti tali). C’è però sempre 

spazio per una “saggia” mediazione politica, per qualche 

sceneggiata folkloristica contro le signore in pelliccia o gli 

“impuri” che mangiano polli arrosto e salsiccie! 

Resta almeno un altro problema da indicare all’analisi 

del lettore che fosse attento al fenomeno dei Verdi italiani: 

quello della biodegradabilità delle liste stesse, degli eletti, 

degli attivisti, dei padri spirituali. Mai dubbio fu più fondato 

se è vero, come purtroppo è vero, che molti di coloro che sono e 

parlano per i Verdi, risultano essere “politico-dipendenti”. Non 

certo per loro origine, per la militanza appassionata in 

formazioni anche antitetiche, ma per l’impossibilità dimostrata 

di astenersi dall’agone politico. Si assiste all’incapacità 

pratica di attuare il sogno riformista, cioè quello dell’affida- 

mento delle realtà rappresentative ad individui 

immuni da condizionamenti che li porta a perpertuare il loro 

ruolo e la loro figura. La disponibilità ad impegnare una parte 

della propria vita, l’offerta di mettere a disposizione specifi- 

che competenze, la possibilità di lavorare solo secondo i dettami 

dell’etica e della coscienza (cioè senza considerazioni opportu- 

nistiche) sono condizioni che trasferite nei gangli del nostro 

sistema potrebbero sempre secondo il mio parere giuocare un 

– 

ruolo dirompente in questa democrazia bloccata. 

– 

Eravamo nati su queste linee. Senza equivoci. Con 

l’ambizione di dare – pur se piccoli 

100 

una vigorosa “scrollata” 

al consolidato sistema partitocratico; capaci di far suonare 

certi campanelli d’allarme. 

eravamo certo destinati, come 

tutto oggi fa pensare, ad avviare la costruzione 

avvenuta ancora una volta di un partito migliore, più efficiente, meno violento (o 

più non violento?), più liberale e più libertario degli altri. 

Sul nostro “autobus verde”, un pò come su quello 

post-divorzista dei radicali potevano salire tutti e tutti coloro 

che l’hanno voluto si sono ritrovati a bordo. Alcuni però non 

hanno rinunciato affatto alle origine politiche di provenienza. 

Mai nessuno ha chiesto a chicchessia tessere di movimenti 

ambientalisti, patenti d’ecologismo, certificati attestanti la 

perfetta conoscenza del ciclo di Krebs o della filogenesi dei 

primati Basti pensare allo spiacevole episodio di intolleranza 

qualche mese fa nei confronti dell’ex consigliere 

missino, oggi “pentito”, 

oggi “pentito”, deciso ad essere verde tra i verdi. 

Eppure son convinto che qualche cosa di nuovo, un germe, un 

embrione ci sia stato due o tre anni fa nel grigio panorama 

politico italiano. Le tensioni ideali forse si sono appassite 

perché l’utopia politica, per intrinseca definizione, se trova 

una definita collocazione istituzionale, perde la ragione stessa 

d’essere. Ecco perché ritengo che oltre il verde stagionale, 

quello dei sogni e delle umane illusioni protese verso Montecito- 

rio, possa ancora esistere un orizzonte. Non so come chiamarlo. 

Se avrà un colore, sarà quello che non conosce. Quello 

dell’utopia. 

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